Intervista a Saito Sensei

La seguente intervista è stata condotta da Stanley Pranin a Roma, il 24 giugno 1986.

Saito Sensei In che modo O-Sensei insegnava jo e ken ad Iwama nel dopoguerra?
E’ noto che lei è entrato al dojo di Iwama nell’estate del 1946. Praticava jo e ken oltre al taijutsu subito dopo essere entrato al dojo?

Si, li praticavo entrambi.
Siccome non potevamo praticarli nel pomeriggio, lo facevamo durante gli allenamenti del mattino.
Dopo esserci alzati ci sedevamo difronte al kamisama in seiza per 40 minuti e poi iniziavamo la pratica.
La pratica era solo per gli uchideshi ma fecero un’eccezione e mi fu permesso di unirmi a loro.

Chi erano gli uchideshi in quei giorni?
I Maestri Abe, Tohei, Kasuga, Ishihara, che oggi è a capo dello Ishihara Sangyo, ed altri andavano e venivano.
Kisshomaru Sensei, Tohei Sensei ed Abe praticavano tutti il ken ed il jo.
Veniva anche il Maestro Yamaguchi ad Iwama.
Era circa il 1951 o 52.
Il Maestro Tohei veniva accompagnato dai suoi studenti portando il riso dalla prefettura di Tochigi e rimanevano nel dojo per la pratica.
All’inizio veniva al dojo in bicicletta.
Oggi ci vogliono 50 minuti in macchina! Era molto dura fare il pendolare da Tochigi.

Comunque, quando O-Sensei spiegava l’Aikido diceva sempre che il taijutsu (tecniche con il corpo) e le tecniche di ken e jo erano la stessa cosa. Cominciava sempre a spiegare l’Aikido usando il ken, come si vede nei filmati.
Agli inizi della nostra pratica col ken, O-Sensei ci diceva semplicemente di colpire. Nient’altro.

Vi erano degli attacchi tsuki (affondi) col bokken?
No, assolutamente.
Ci diceva solo di colpirlo.
La pratica del ken cominciava da lì.
Dato che da piccolo avevo praticato Kendo, in qualche modo cercavo di affrontare la situazione.
Poi mi chiese di preparare un supporto per il tan-renuchi (allenamento ai colpi). Così raccolsi della legna e costruii un supporto. O-Sensei si infuriò e me lo distrusse a colpi di bokken.
Mi disse, “Questa legna sottile è inutile!” Così ho dovuto pensare a qualcos’altro. Tagliai due grossi pezzi di legno e ci infilai dei chiodi per tenerli insieme.
Questa volta O-Sensei mi fece i complimenti. Comunque, anche quel supporto durò meno di una settimana.
Perciò cercavamo di colpire in punti diversi per preservare il legno. Dopo una settimana andai di nuovo a tagliare la legna per farne un altro. A quel tempo sulle colline c’erano molti alberi. Era così che ci allenavamo per i colpi col ken. Si allenano i fianchi e le braccia ed anche gli uchikomi (colpi di potenza). Gli ho dato io stesso il nome “tan-renuchi”.

O-Sensei praticava spesso il tanrenuchi?
Certo. Diceva, “Colpisci ancora 100 volte”.
O-Sensei viveva dall’altra parte del santuario. La casa era a circa 200 metri dal dojo ma ora non c’è più.
Ogni mattina noi ci allenavamo a colpire il supporto. Se non facevamo dei kiai abbastanza forti, ci rimproverava.
Dato che c’erano solo uno o due vicini non avevamo problemi. Mentre praticavamo, alcuni dei deshi si stancavano, smettevano di colpire e urlavano soltanto.
O-Sensei sentiva le urla che risuonavano come se si stessero davvero allenando. Alcuni finirono per urlare dal letto (ride). Sembra una barzelletta ma è successo davvero.

Mentre l’allenamento progrediva, ci fu insegnato quello che ora chiamiamo “Ichi no Tachi” (prima pratica di spada a coppie).
Ci insegnò solo questo per 3 o 4 anni e nient’altro.
Tutto quel che facevamo era colpire finché eravamo completamente esausti e cominciavamo a perdere l’equilibrio.
Quando arrivavamo al punto di non poterci più muovere, ci segnalava che era abbastanza e ci lasciava andare.
Abbiamo fatto solo questo per la pratica del mattino, ogni giorno. Negli ultimi anni, Sensei mi diede quasi sempre lezioni private. Il Maestro Tohei si sposò e tornò a casa; Ki
sshomaru Sensei pure si sposò e si trasferì a Tokyo.
Anche gli altri uchideshi tornarono a casa.

Che tipo di spiegazione dava O-Sensei per il jo ed il ken?
Per la pratica del jo, si limitava a rotearlo come un fulmine davanti a noi. Lo imitavamo e basta. Quando non ci riuscivamo diceva, “Se guardate bene capirete!”. Poi ci mostrava di nuovo il movimento, ma più velocemente. Era anche più difficile capirlo. E lui ripeteva, “Se guardate bene capirete!”, e lo rifaceva ancora più veloce. Alla fine non capivamo più niente (ride). Roteava il jo in tanti modi diversi mentre ci mostrava i movimenti. Ci dava delle spiegazioni di come una tecnica veniva usata a seconda del tipo di attacco. Era diverso dagli awase, o tecniche col partner. Lo faceva senza un partner. Immaginava di avere un nemico difronte e rapidamente ci mostrava tecniche per situazioni varie, come per quando si è attaccati in un certo modo, con un affondo, un colpo.

O-Sensei dava dei nomi ai movimenti con il jo?
No, niente nomi. Ci diceva semplicemente di fare questo o quello. I nomi vennero utilizzati parecchio dopo. Quando iniziai io stesso ad insegnare, capii che il metodo di O-Sensei non sarebbe stato appropriato e classificai ed organizzai le sue tecniche di jo. Ho riarrangiato tutto in 20 movimenti di base che ho chiamato “suburi” e che includono tsuki (affondi), uchikomi (colpi), hassogaeshi (movimenti ad otto) e così via in modo da semplificare la pratica per gli studenti.

Quanto tempo dopo che lei entrò al dojo di Iwama cominciarono ad arrivare studenti universitari per allenarsi?
Cominciarono a venire quando O-Sensei era ancora attivo. Gli studenti dell’Università di Kanagawa, della Tohoku Gakuin e dell’università di Ibaragi venivano ad Iwama ogni anno, mentre O-Sensei e sua moglie stavano ancora bene. O-Sensei rimproverava gli studenti all’Hombu Dojo se usavano il jo od il ken, ma mi guardava sorridendo quando insegnavo quelle armi agli studenti la mattina difronte al santuario. Non so che distinzioni facesse tra di noi, ma una la faceva di sicuro.

Agli studenti universitari insegnava i kata da lei sviluppati?
No. Quello avvenne parecchio dopo. O-Sensei si sarebbe arrabbiato se avessimo insegnato nel modo “uno-due-tre”. Il suo modo di insegnare poteva andar bene per lezioni private, ma se bisogna insegnare a 30 o 40 persone alla volta il metodo “uno-due-tre” è il solo efficace. E’ per questo che ho dato un numero a ciascuno dei suburi. Alla fine il tutto è diventato “i 31 movimenti del kata di jo”. Anni dopo ricevetti una visita da uno degli universitari di quel periodo. Penso fosse uno studente dell’Università dell’Educazione di Miyagi. Mi disse, “Sensei, ma non erano i 30 movimenti del kata di jo?”. E io risposi “adesso ne abbiamo 31!” (ride). Al quel tempo erano 24. Forse perché includemmo alcuni movimenti di jo in hayagaeshi e ciò porto ai 24 movimenti. Comunque non era abbastanza per imparare e così ho diviso i movimenti fino ad arrivare a 31. La gente arrivò poi a chiamarli “i 31 movimenti del kata di jo” senza che io me ne rendessi conto.

Quando mi fu insegnato il suburi di spada ero abituato a roteare la spada con lo stile del Kendo. O-Sensei mi disse che non andava bene e mi fece fare una pratica parziale dei suburi. Devi prima praticare i suburi per riuscire a praticare i kumitachi. E’ come imparare a prendere la palla prima di essere capaci di giocare a baseball. Le basi da imparare per i kumijo ed i kumitachi sono i suburi. E’ per questo che ho fatto i sette suburi di spada. Non si dovrebbero praticare i kumitachi prima di aver padroneggiato i sette suburi. Non si può fare e si corre anche il rischio di farsi male. Se si passa alla pratica dei kumitachi dopo aver imparato i suburi e gli awase (pratiche con un partner), si imparerà una buona forma e si eviteranno infotuni. Per i kumijo si dovrebbe prima imparare i 31 movimenti del kata di jo ed i 20 suburi in modo appropriato. Questo è il corretto ordine di pratica. Per il taijutsu pratichiamo le tecniche per il flusso del ki solo dopo aver praticato le basi. Non possiamo chiamare quel che facciamo un’arte marziale se pratichiamo solo tecniche per il flusso del ki ignorando le basi.

Quando O-Sensei mostrava i movimenti di ken e jo sembrava farlo con estrema rapidità. Immagino fosse così anche per i 31 movimenti del kata di jo.
Sebbene non usasse un metodo uno-due-tre, insegnava sempre con molta pazienza e spiegava in dettaglio quello che dovevamo fare. I kata del Maestro Tohei sono inferiori di numero e così la gente pensa che a lui fu insegnato in un modo e a me in un altro. Ma non ne sarei sicuro. O-Sensei mi ha anche mostrato diversi kata. Comunque riesco a ricordarmene solo la metà. I “31 movimenti del kata di jo” è ciò che ho creato utilizzando i kata che mi ricordavo.

Sembra che i 31 movimenti siano la base del suo insegnamento del jo.
Si, ma dato che sono una forma che il Fondatore ci ha lasciato, non dovremmo chiamarli “i 31 movimenti del kata di jo”. Come allievo del Fondatore, non posso fare nessun cambiamento ai kumitachi o ai 31 kata. Altri sono liberi di farlo ma finché sono io il responsabile del dojo di O-Sensei, devo fare esattamente ciò che da lui ho imparato. Ad esempio, il secondo kumitachi è più difficile del terzo. Alcuni suggerirono che rimpiazzassi il secondo con il terzo perché nessuno si sarebbe accorto della differenza. Ma risposi che non potevo farlo perché io la vedevo la differenza.

O-Sensei le diede qualche spiegazione su come egli stesso avesse studiato il ken e il jo o da dove avessero avuto origine queste arti?
Una volta mi mostrò un rotolo con delle descrizioni sui kata. Non ricordo di che scuola fosse, ma c’è una persona che ha fatto ricerche su questa arte e venne a trovare O-Sensei con una copia del rotolo. Intendo una copia fatta a mano. Il Fondatore gli parlò di quell’arte e l’uomo andò via soddisfatto lasciando al dojo la sua copia. Mi mostrò quella copia quando stava mettendo ordine tra le sue cose nella vecchia casa. Mi disse di dargli un’occhiata. Lei sa che io eseguo delle varianti dei cinque kumitachi. Beh, nella copia c’erano termini come “riari” e “tokuari” scritti con inchiostro sumi. Riari e tokuari sono le varianti che faccio. Sensei mi mostrò questa copia e mi spiegò che riari significa una data forma e che tokuari è una variante di questa forma. Comunque, una volta che il Fondatore eseguiva questi movimenti, essi divenivano stile aiki o stile Ueshiba.

Sarebbe interessante scoprire di più su quest’arte arte precorritrice.
Non so cosa fosse e non lo sa neanche Kisshomaru Sensei a quanto pare. Sa che ho solo una serie di foto a riguardo, scattate da Kodansha nel vecchio dojo di Noma. Le ho trovate che erano semidistrutte e le ho prese per spazzatura mentre facevo ordine in un magazzino. Il colore era sbiadito. Quando ho detto ad O-Sensei delle foto disse che non ne aveva bisogno e le lasciò a me.

tratto da : aikidojournal.com



Autore: Carlo Cocorullo
Data: 09/10/2016
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